Il poeta de "A terra
d'u ricorde"
Albino
Pierro
(1916-1995)
"..terra di funebri memorie, quasi al riparo
dalle grandi tempeste della storia...", così Carlo Levi e Ernesto De
Martino descrivono la Basilicata. In questa regione, nel
piccolo paese di Tursi (provincia di Matera), nacque il poeta
Albino Pierro,
Era il 19 novembre 1916,
"mia madre, morì poco dopo la mia nascita" raccontò poi il poeta e anche io
"venni dato per morto". "Mi avevano già vestito e messo nella bara. La nutrice
disse d'aver udito, a un tratto, il grido di mia madre morta. Io ne fui riscosso
e tornai a vivere. Me lo riferiscono le mie zie. Ero troppo piccolo per
ricordare". "La mia nutrice non aveva quasi latte. E mi davano alle
donne del paese, madri fresche, per una poppata. Ancora oggi, quando torno a
Tursi, incontro vecchiette che mi ricordano il debito: «Don Albine, io ti ho
dato il latte»".
Il padre si risposò altre due volte: furono le
zie Assunta e Giuditta ad allevarlo. In casa imparò a parlare l'italiano, quello
raffinato e colto d'una famiglia di giuristi e professori, ma la lingua del
paese era il dialetto. "E io ne ero incantato" "Mi piaceva ascoltarlo dai
contadini: nei loro racconti, la descrizione d'un temporale, un evento naturale
diventava un fatto terribile e misterioso, una fiaba".
Da piccolo ero "debole di salute e gli occhi
sempre arrossati. La mia nutrice tentò un rimedio popolare: impacchi d'ortica.
Le cose peggiorarono. A quattro, cinque anni quasi cieco, fui costretto a
restare sempre al buio. Imparai a suonare il mandolino. Cantavo bene. Più tardi,
con i miei due fratelli, tenni concerti in paese. La gente veniva, «per la voce
di Don Albine»".
Un oculista, a Roma, scongiurò il peggio e disse
ai miei: "il ragazzo potrà leggere tanto da diventare professore
universitario, non cieco". Così "durante l'estate, dopo pranzo, alla
controra", quando "si doveva dormire per forza. Io mi rannicchiavo
vicino al balcone e, alla luce che passava dallo spiraglio, leggevo i russi.
Anche Shakespeare, anche i francesi, ma i russi mi hanno formato. Calcolavo
quante pagine ogni quarto d'ora. Oggi non tocco più un romanzo. Non si può, dopo
i giganti, dopo Dostoevskij".
Il giovane Pierro amava il suo palazzo, dalla cui
terrazza vagava con lo sguardo sul quartiere della "Rabatana", il più
vecchio del paese, precariamente posato su una collina di creta e sempre sul
punto di scivolare in basso, lungo i calanchi. Da lì scrutava il paese di
Tursi e il paesaggio d’intorno.
Soffrì quando dovette trasferirsi, per continuare
gli studi, prima a Taranto, poi a Salerno e a Sulmona.
Scappò più volte dai collegi. "A me piaceva
leggere, non studiare. Non ero un buon allievo". Ma ebbe buoni insegnanti,
che lo capirono e aiutarono. "A Salerno, Felice Villani, professore
d'inglese, m'insegnò a capire la poesia. A Sulmona, Mario Zangara mi spronò a
coltivarla. Ha poi scritto due libri su di me".
Ma dopo il primo anno
di liceo, Albino Pierro segue a Udine suo cugino Guido Capitolo e smette di
andare a scuola. "Finalmente potevo non far altro che leggere: Benedetto
Croce, i filosofi, letteratura straniera. I libri mi arrivavano a pacchi".
Ma il suo peregrinare continuò ancora, prima lo
portò in Carnia vicino Tarvisio, poi a Novara per terminare infine a Roma. Qui
si mise a studiare, sino alla laurea e poi "in cerca d'un posto fisso per
mettere su famiglia".
A Roma attraversai la guerra,
"senza capire niente, né allora né oggi, di storia e di politica. Anche se
recensii opere filosofiche per la Rassegna nazionale, scrissi fiabe per il
giornalino Balilla e una poesia per la morte del figlio di Mussolini, Bruno: il
dolore aveva colpito il potente. In via Rasella ero appena passato, quando udii
un boato: scampai alla strage e al rastrellamento dei tedeschi, sia allora sia
in un'altra occasione, in via Nazionale". Ma il resto della guerra non gli
pesò: frequentava centri culturali, conobbe scienziati e letterati. E scriveva
tanto. Ma in italiano.
Nel 1946 pubblicò la sua prima raccolta poetica
intitolata "Liriche" a cui seguiranno le "Nuove liriche" (1949), "Mia madre
passava" (1955), "Il paese sincero" (1956), "Il transito del vento" (1957),
"Poesie" (1958), "Il mio villaggio" (1959), "Agavi e sassi" (1960).
La sua "conversione" al dialetto avvenne con la
raccolta "'A terra d'u ricorde" (1960), che scrisse in
tursitano, l'idioma del suo paese. Un dialetto dalle antiche origini saracene
che mai aveva conosciuto codificazione scritta, "quella di Tursi, il mio
paese in provincia di Matera, era una delle tante parlate destinate a
scomparire. Ho dovuto cercare il modo di fissare sulla carta i suoni della mia
gente".
Questa riscoperta della lingua "natia" fu così
raccontata dal poeta: "Non avevo mai pensato di usare il dialetto. Mi
accadde, senza volerlo davvero, il 23 settembre del 1959. Ogni anno tornavo a
Tursi e quella volta fui costretto a rientrare anticipatamente a Roma. E ne
patii. Nacque così, di getto, la prima poesia in tursitano: "Prima di parte"
(prima di partire).Sei mesi dopo, era pronta la prima raccolta in dialetto: «A
terra d'u ricorde»".
Pierro non da spiegazione di quell'evento, "i
critici cercano di capire com'è nata questa mia nuova lingua. Io non lo so.
C'era in me il desiderio di fare poesia e quello che mi urgeva dentro nacque in
dialetto. Ma la mia volontà, in questo, non ebbe nessuna parte. Perché un
giapponese scrive versi in giapponese ?".
Le sue opere, nate dalla riscoperta della sua
lingua natale (Metaponto, Ecco à morte ?, Famme dorme, Nun c'è pizze di munne),
cominciarono ad essere tradotte in varie lingue, persino in persiano.
Così nel 1985 il poeta, ormai notissimo in Russia
e Svezia, fu invitato a Stoccolma dall'università della capitale scandinava, a
recitare le sue poesie in tursitano. Una lezione che, registrata, ancora oggi è
a disposizione degli studiosi. "Mi hanno detto che uno di loro ama recitare
una mia poesia, ma non in svedese, in tursitano", confidò Pierro.
Fu candidato più volte al Premio
Nobel per la Letteratura, che però non vinse mai.
Nel '92 ricevette
a Potenza dall'Università degli Studi di Basilicata la sua prima laurea honoris
causa. L'Ateneo lucano volle così rendere omaggio "all'interprete di una
condizione esistenziale che fa corpo tutt'uno con l'anima antica della civiltà
lucana".
Morì a Roma il 23 marzo 1995,
lasciando al Comune di Tursi la sua casa e la sua biblioteca contenente migliaia
di libri.
Scrive Pino Aprile che "Tursi stessa, che
avrebbe rischiato la scomparsa senza che nessuno ne sapesse niente "a
Pietroburgo", ora ha qualcosa per esistere, per essere segnalata.
Prendete la
carta turistica della De Agostini. Poche località sono citate. Tursi c'è, per
questa ragione: «patria del più grande poeta dialettale contemporaneo: Albino
Pierro»".
Opere in lingua italiana
Liriche, Palatina, Roma 1946
Nuove Liriche, Danesi in via Margutta, Roma 1949
Mia madre passava,
Fratelli Palombi, Roma 1956
Il transito del vento, Dell'Arco, Roma 1957
Poesie, Roma, 1958
Il mio villaggio,Cappelli, Bologna 1959
Agavi e
Sassi, Dell'Arco, Roma 1960
Appuntamento, Editori Laterza, Bari 1967
Incontro a Tursi, Editori Laterza, Bari 1973
Opere in dialetto tursitano
'A terra d'u ricorde, Il Nuovo Belli, Roma 1960
Metaponte,
Il Nuovo Cracas, Roma 1960
I'nnammurète, Editori Laterza, Bari 1963
Metaponto, Editori Laterza, Bari 1966 (Ristampa)
Nd'u piccicarelle di
Turse, Editori Laterza, Bari 1967
Eccò 'a morte?, Editori Laterza, Bari 1969
Famme dorme, Scheiwiller, Milano 1971
Curtelle a lu sòue, Editori
Laterza, Bari 1973
Nu belle fatte, Mondadori, Milano 1975
Com'agghi' 'a
fe?, Edizioni 32, Milano 1977
Sti mascre, L'Arco Ed.d'Arte, Roma 1980
Dieci poesie inedite in dialetto tursitano, Pacini, Lucca 1981
Metaponto, Garzanti, Milano 1982 (Ristampa)
Poesie inedite in omaggio a
Pierro, Lacaita, Manduria 1982
Ci uéra turnè, Ed.del Girasole, Ravenna 1982
Si pò nu jurne, Gruppo Forma, Torino 1983
Poesie tursitane, Ed.del
Leone, Venezia 1985
Tante ca pàrete notte, Manni, Galatina 1986
Un
pianto nascosto, Einaudi, Torino 1986
Nun c'è pizze di munne, Mondadori,
Milano 1992
tratto da "Parole per comunicare" http://www.geocities.com/parolepercomunicare/Pierro.htm